L’insoddisfazione di sé e il senso di inferiorità

Disagio emotivo

L’insoddisfazione di sé e il senso di inferiorità

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È caratteristico dell’essere umano porsi delle mete sempre più elevate; tali aspirazioni sono state uno stimolo al progresso dell’umanità. Tuttavia, l’essere umano non può avvicinarsi alla maggior parte dei suoi ideali, di conseguenza un sentimento di insoddisfazione, che non conduce a disperare bensì a rinnovare i propri sforzi, rappresenta un’esperienza normale.

Il sentimento nevrotico di insoddisfazione, tuttavia, è diverso: si tratta della sensazione di non riuscire a raggiungere un ideale che ci si è posto per motivi nevrotici e dà luogo ad un sentimento di inferiorità.

Le mire grandiose

Gli psicoterapeuti vengono spesso consultati da pazienti che lamentano un sentimento di insoddisfazione. In molti casi questi pazienti cercano di dare delle prove esteriori del fatto che le loro vite sono “sprecate”, e spesso riescono a farlo. Nel corso della psicoterapia, è facile accorgersi che queste persone nutrono mire grandiose. Essi si sono costruiti ciò che Karen Horney chiamava un’immagine idealizzata di sé stessi.

Nella loro giovinezza, molti di questi pazienti hanno accarezzato l’idea di raggiungere determinati obiettivi, e un numero notevole di essi ha realmente un certo talento in un campo o nell’altro. Probabilmente, il loro talento avrebbe trovato prima o poi uno sbocco adeguato se essi lo avessero coltivato in modo adatto, ma l’immagine grandiosa di sé non lo ha loro permesso.

Queste persone vivono nella gloria fantasticata del domani e non concludono nulla oggi.

Man mano che essi si rendono conto che i loro risultati sono modesti in confronto alle loro aspettative, diventano sempre più scontenti.

Presto o tardi essi trovano delle giustificazioni per le loro difficoltà: in alcuni casi, danno la colpa ai loro familiari; in altri casi, pensano che sia la società a non permetter loro la realizzazione di sé. Essi offrono in modo frammentario prove politiche, sociologiche o psicologiche che dovrebbero dimostrare che non si può esser “realmente sé stessi”.

Dal momento che la mancanza di successo rende la loro posizione sempre più insostenibile, possono essere costretti ad accettare delle occupazioni che i loro coetanei hanno già superato; e ancora una volta si sentono pieni di risentimento e scontenti. Le loro mire grandiose li hanno pertanto condotti all’opposto di ciò che avevano desiderato: a un sentimento di inadeguatezza e a un sentimento nevrotico di insoddisfazione.

La fiducia in sé

Karen Horney fece notare che questa immagine idealizzata, che conduce alla ricerca di gloria, rappresenta un sostituto della fiducia in sé che è mancante. Essa fece anche notare come questa immagine non realistica conferisce un sentimento nevrotico, ma gratificante, di superiorità nei confronti degli altri. Così, un sentimento di inferiorità è sia la causa che l’effetto dell’immagine idealizzata, con una sorta di servomeccanismo.

Il bambino che sviluppa un’immagine grandiosa di sé è un bambino che pensa di dover soddisfare delle aspettative commisurate a tale immagine di sé, allo scopo di meritare e ottenere l’amore dei genitori.

Generalmente i genitori hanno spesso inconsciamente trasmesso al bambino l’idea che egli sarà un individuo degno di stima soltanto se soddisferà le loro grandi aspettative. Naturalmente, molti genitori pensano che il loro figlio diventerà una persona importane. La trasmissione al bambino di questa opinione, che è quasi sempre errata, gli riesce generalmente non traumatizzante, ma anzi addirittura utile, se essa è un’espressione di amore e di speranza. La realizzazione delle aspettative dei genitori diventa uno scopo nevrotico soltanto quando essa viene interpretata dal bambino come una “condizione necessaria” per ottenere approvazione e amore.

Il sentimento di inferiorità

Il sentimento di inferiorità, descritto e interpretato per la prima volta da Alfred Adler, ha origine nell’infanzia. I bambini si sentono inferiori perché vengono trattati come tali dagli adulti e perché sentono di non poter fronteggiare le difficoltà del mondo senza l’aiuto degli adulti. Essi si sentono piccoli, deboli e impotenti, incapaci di affrontare le prove dell’esistenza.

Questo sentimento di inferiorità può diventare la forza propulsiva, il punto di partenza da cui ha origine ogni sforzo di affermarsi, oppure può diventare col tempo il menomante sentimento di inferiorità di cui soffrono molti adulti.

Il sentimento di inferiorità è universale, colpisce sia le persone importanti che la gente comune. Benché il sentimento di inferiorità diventi manifesto nel bambino come un sentimento di impotenza, esso in realtà ha le sue radici nelle caratteristiche fondamentali della psiche umana. Come nel caso del sentimento di insoddisfazione, un modesto sentimento di inferiorità è normale e, benché spiacevole, è inevitabile. Esso è basato sul fatto che esiste una discrepanza tra il modo in cui l’essere umano si vede e il modo in cui i suoi processi simbolici gli indicano che potrebbe essere. L’essere umano è sempre al di sotto di ciò che può immaginare; egli è sempre in grado di concepire una situazione migliore di quella nella quale si trova. Questa discrepanza è causata dal potere dei suoi processi simbolici.

Degli avvenimenti particolari nella vita di un soggetto possono fargli interpretare impropriamente lo stato di incompletezza dell’uomo, fino a farne un motivo per un sentimento di inferiorità più profondo di quello normalmente sentito.

Il bambino ha bisogno di un amore primario incondizionato da parte dei genitori. A differenza dei piccoli delle altre specie, il bambino ha bisogno di un apporto d’amore maggiore, per superare le maggiori difficoltà che gli procureranno le sue capacità simboliche.

La fiducia di base

Questo amore incondizionato deve essere seguito dalla fiducia di base: un sentimento interpersonale complesso che consiste nel fatto che il bambino si aspetta che la madre sarà presente per dare e amare, e la madre ha una calma fiducia che il bambino crescerà e diventerà una persona normale, degna e amorevole.

La fiducia di base della madre verrà introiettata dal bambino, che allora avrà fiducia in sé stesso. Soltanto la sicurezza, il sentimento di essere degno e accettato, che deriva dalla madre, dapprima sotto forma di amore incondizionato e successivamente sotto forma di fiducia di base, può preparare il bambino a superare sia lo shock acuto, sia, più spesso, la lenta e penosa presa di coscienza della discrepanza tra ciò che è e ciò che era abituato a pensare di sé stesso. Mentre egli cresce, deve accettare sempre più le sue limitazioni. La sua fiducia di base in sé stesso lo incoraggerà a continuare il suo sforzo verso la crescita e l’espansione di sé.

Fonti

Silvano Arieti “Il sé intrapsichico” Boringhieri (1969)

D.ssa Maria Rita Milesi - Psicologa e Psicoterapeuta Bergamo
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