Ernst Jones (Vita e opere di Freud, vol. 2, pp. 214 segg.) racconta che la reazione immediata di Freud alla notizia dello scoppio della prima guerra mondiale fu improntata a grande entusiasmo patriottico.
Ma fu una fiammata brevissima, come scrive Cesare Musatti nell’introduzione all'ottavo volume delle opere di Freud (che raccoglie i saggi scritti tra il 1915 e il 1917).
Riporto in modo integrale la prima parte della disamina di Musatti, nella quale spiega come mai Freud abbia potuto lasciarsi travolgere, anche se per breve periodo, dalla situazione emotiva suscitata dalla guerra.
“La guerra nel 1914 colse di sorpresa Freud, come tutti. Perché fino all'ultimo sembrava impossibile, e anche perché la falsa immagine che allora si aveva di una eventuale guerra era derivata dai ricordi di cinquant'anni prima: brevi, pur se cruenti scontri di eserciti contrapposti, che non coinvolgevano le popolazioni civili, e che comunque si concludevano entro pochi mesi con la stipulazione di una pace. Questa avrebbe mutato alquanto l'assetto dei confini territoriali, lasciando tuttavia inalterato il modo di vivere degli uomini, e in definitiva anche il rapporto fra i popoli.
Freud non reagì all'annuncio della guerra diversamente dalla maggior parte della gente comune. Si lasciò prendere perfino dall'euforia, fu sensibile alla propaganda patriottica, credette nella bontà della causa del proprio paese e nella perfidia del nemico. In una lettera a Ferenczi del 23 agosto 1914 dichiarò: «Tutta la mia libido si riversa sugli austro-ungarici.»
Quando, nello stesso agosto, il figlio maggiore Martin, e due mesi dopo il minore Ernst, si arruolarono volontari, all'attaccamento per la patria austriaca ritrovata (ad Abraham aveva scritto il 28 luglio che per la prima volta dopo trent'anni si sentiva austriaco), e per l'intero mondo tedesco, in cui era culturalmente radicato, si sovrappose la identificazione con i figli. Ma poi... tutto si sarebbe concluso assai presto, con la sconfitta della barbarie slava, della fatuità francese, e della protervia dell'Inghilterra.
Soltanto sul finire del 1914, quando svanì l'illusione di una rapida vittoria, Freud uscì da questo stato d'animo e passò qualche settimana di grande depressione. Chiese ad Abraham di venire a confortarlo, e si rivolse pure, nel suo bisogno di appoggio morale, all'allieva Lou Andreas-Salomé, donna di grande fascino e di alte qualità intellettuali, amica di tutti i principali personaggi della cultura e dell'arte degli ultimi trent'anni. Si fece allora luce in Freud una riflessione critica, corroborata dai dati dell'esperienza psicoanalitica, che gli consentì di dare una valutazione obiettiva degli atteggiamenti degli uomini di fronte alla guerra.
La lettera del 28 dicembre 1914 indirizzata all’amico psichiatra olandese Frederik van Eeden (pubblicata in tedesco il 17 gennaio 1915 sulla rivista olandese “De Amsterdammer”) riflette questo mutamento."
Ecco il testo per intero:
«Egregio collega, sotto l'influsso di questa guerra mi permetto di rammentarLe due asserzioni che la psicoanalisi ha avanzato e che certamente hanno contribuito a renderla impopolare presso il pubblico. Dallo studio dei sogni e delle azioni mancate delle persone sane, oltreché dei sintomi nevrotici, la psicoanalisi ha tratto la conclusione che gli impulsi primitivi, selvaggi e malvagi dell'umanità non sono affatto scomparsi, ma continuano a vivere, seppure rimossi, nell'inconscio di ogni singolo individuo (così ci esprimiamo nel nostro gergo), aspettando l'occasione di potersi riattivare. La psicoanalisi ci ha inoltre insegnato che il nostro intelletto è qualcosa di fragile e dipendente, gingillo e strumento delle nostre pulsioni e dei nostri affetti, e che siamo costretti ad agire ora con intelligenza ora con stoltezza a seconda del volere dei nostri intimi atteggiamenti e delle nostre intime resistenze. Ebbene, guardi cosa sta accadendo in questa guerra, guardi le crudeltà e le ingiustizie cui si rendono responsabili le nazioni più civili, la malafede con cui si atteggiano di fronte alle proprie menzogne e iniquità a petto di quelle dei nemici; e guardi infine come tutti hanno perso la capacità di giudicare con rettitudine: dovrà ammettere che entrambe le asserzioni della psicoanalisi erano esatte. È probabile che non fossero del tutto originali: molti pensatori e conoscitori del genere umano hanno detto cose analoghe. Tuttavia la nostra scienza ha portato entrambe queste tesi fino alle loro estreme conseguenze e le ha utilizzate per chiarire numerosi enigmi di natura psicologica. Augurandomi di riincontrarLa in tempi migliori, la saluto con molta cordialità. Suo Sigmund Freud.»
Qualche mese più tardi Freud scrisse le Considerazioni attuali sulla guerra e la morte: due saggi, dal titolo La delusione della guerra (cioè la delusione arrecata all'umanità dalla guerra) e Il nostro modo di considerare la morte, che segnano il definitivo risveglio dalla infatuazione bellicistica.
È certo perturbante constate come un uomo della levatura intellettuale e della esperienza psicologica di Freud, nel pieno vigore dell’età, abbia potuto lasciarsi travolgere, anche se per breve periodo, in un modo così banale dalla situazione emotiva suscitata dalla guerra. Per spiegare questo fatto va forse tenuto conto che la partecipazione alla universale ubriacatura patriottica, per una persona come lui – che aveva sempre sofferto di essere tenuto in quanto ebreo in una condizione di estraneità, se non di inferiorità, rispetto ai comuni cittadini austriaci – rappresentava finalmente il superamento del proprio stato separato.
Freud seppe comunque utilizzare questa esperienza sul piano del proprio lavoro scientifico. Non soltanto con gli scritti sulla guerra e la morte, a ci ora è stato accennato, ma anche per le grandi opere che comporrà dopo la conclusione della pace.”
Fonte: Freud S. Opere vol. VIII, Bollati Boringhieri, Torino 1989